Riporto qui il testo che ho scritto per la mostra di apertura del Mu.Fant su Star Wars (dal 30 giugno al 30 luglio). Mi era stato richiesto di parlare degli sviluppi e dell’influenza della pellicola di George Lucas in Giappone…
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Star Wars-episodio IV e il boom della fantascienza giapponese
di Massimo Soumaré
Come è avvenuto per altre nazioni del mondo, Star Wars ha rappresentato un punto importante anche per la fantascienza nipponica. In Giappone Star Wars-episodio IV è infatti arrivato nel 1978, un anno dopo l’uscita negli USA, ottenendo da subito un grosso successo, in questo caso aiutato da una congiunzione di eventi favorevoli sviluppatosi in maniera indipendente all’interno della nazione asiatica. Era quello un periodo particolarmente propizio al boom della SF nel paese orientale; la serie animata di Uchû senkan Yamato (Corazzata spaziale Yamato/Star Blazers)– sostanzialmente una space opera – trasmessa in televisione nel 1974 sulla Yomiuri TV e ulteriormente trasposta in un film per le sale cinematografiche proprio nel 1977 stava godendo di un’immensa popolarità presso il pubblico. La casa di produzione della Toho, conscia sia del successo che internazionalmente stava conquistando il film di George Lucas sia dei risultati ottenuti a livello nazionale da Uchû senkan Yamato, decise di sfruttare la situazione a proprio vantaggio ed iniziò quindi immediatamente i preparativi per la produzione di Wakusei daisensô (La grande guerra dei pianeti/The War in the Space) diretto dal veterano Fukada Jun (1923-2000), noto per essere stato il regista di numerosi film della serie di Gojira/Godzilla e pellicole a tema fantascientifico, riuscendo in questo modo a farlo uscire nelle sale nel mese di gennaio del 1978 – Star Wars arriverà nei cinematografi dell’arcipelago solo nell’estate di quell’anno.
L’altra grande casa di produzione nipponica, la Toei, non perse tempo realizzando velocemente un proprio film, Uchû kara no messêji (Messaggio dallo spazio/Message from Space), la cui direzione fu affidata a Fukasaku Kinji (1930-2003), regista famoso per i suoi film sulla Yakuza, la mafia giapponese, e che in Occidente è soprattutto conosciuto per aver recentemente diretto il film Batoru Rowaiaru (Battle Royale).
Anche Uchû kara no messêji, oggi un vero cult movie tra gli appassionati, riesce ad anticipare Star Wars arrivando nelle sale ad aprile del 1978. A curare il progetto originale era stato chiamato il leggendario mangaka Ishinomori Shôtarô (1938-1998), creatore di veri classici della fantascienza a fumetti nipponica quali Cyborg 009 e Kamen Raider.
Liberamente ispirato al capolavoro del periodo Edo (1603-1867) Nansô Satomi Hakkenden (La leggenda degli otto cani guerrieri), composto nell’edizione moderna della casa editrice Iwanami di ben dieci volumi, e scritto da quello che è il più grande romanziere del periodo Edo, Kyokutei Bakin (1767-1848), Uchû kara no messêji annovera tra gli interpreti principali due attori destinati ad una futura brillante carriera: quel Chiba Shin’ichi conosciuto internazionalmente con il nome di Sonny Chiba, magistrale interprete di film di arti marziali visto anche nel ruolo di Hattori Hanzô in Kill Bill di Quentin Tarantino, e Sanada Hiroyuki il quale ha recitato, tra l’altro, in Ring del regista di Nakata Hideo e in The Last Samurai di Edward Zwick.
Nansô Satomi Hakkenden non è ovviamente una storia di SF trattandosi invece di un racconto epico ricco però di elementi fantastici incentrato sulle vicende di otto samurai; è da notare comunque come ci sia una forte presenza di temi legati alla lealtà e all’onore, al confucianesimo e al buddhismo.
E se pensiamo agli elementi che contraddistinguono alcuni personaggi e situazioni del primo Star Wars, non pare un caso che la casa di produzione del Sol Levante abbia scelto il lavoro di Kyokutei Bakin. Probabilmente in esso ha trovato numerosi aspetti che potevano sovrapporsi perfettamente a quelli dell’opera di Lucas facendo sì che la loro pellicola fosse in grado di godere di un buon successo tra gli spettatori. A ben guardare, in Obi-Wan Kenobi, nome che già foneticamente parrebbe giapponese, non ritroviamo forse la semplicità di vita e la saggezza di un monaco Zen? Che dire poi dei cavalieri Jedi i quali possiedono l’etica dei cavalieri medievali europei, ma al contempo la rigida disciplina dei bushi, i guerrieri nipponici? Meglio poi tralasciare tutto il discorso sulla forza che trova parallelismi in molte filosofie orientali a partire dal concetto cinese dello Yin e dello Yang. Meriterebbe una dettagliata trattazione a parte…
Ma la Toei non si limita al solo film producendo successivamente a partire da luglio 1978 fino a gennaio dell’anno seguente la serie televisiva in ventisette episodi Uchû kara no messêji, ginga taisen (Messaggio dallo spazio: la grande guerra delle galassie) ambientata cento anni dopo gli eventi narrati nel lungometraggio e in cui sono inseriti elementi tipici dei telefilm di ninja (ci si rende facilmente conto di ciò osservando i vestiti «a rete» dei due eroi protagonisti e gli elmetti che ricordano i copricapo protettivi abitualmente associati alle figure dei guerrieri ombra). Nel ruolo del protagonista principale, Fantasma, ritroviamo Sanada Hiroyuki. Uchû kara no messêji, ginga taisen dal 1980 è stata anche trasmessa più volte su varie reti locali italiane con il titolo di Guerre fra galassie.
Qui i riferimenti a Star Wars sono ancora più evidenti. Soprattutto per via del robottino Tonto che non si può fare a meno di comparare con R2-D2 e dell’uomo scimmia Barû indubbiamente ispirato dal wookiee Chewbacca anche se, a differenza di quest’ultimo, Barû è capace di parlare un linguaggio umano comprensibile. Che queste due figure più di altri personaggi di Star Wars abbiano avuto una forte presa sull’immaginario dei giapponesi non deve sorprendere. I robot, in particolar modo quelli giganti, compaiono nella fantascienza autoctona del paese molto presto. Già nel 1956 il maestro mangaka Yokoyama Mitsuteru (1934-2004) inizia a pubblicare il fumetto Tetsujin 28 gô (Super Robot 28) che nel corso degli anni diventerà per ben due volte una trasmissione radiofonica a puntate, un telefilm e sarà più volte trasposto in disegni animati. Dal 1972 poi Nagai Gô fa uscire a puntate sulla rivista settimanale Shônen Jump le storie di Mazinga Z, il primo eroe della generazione dei robot combattenti pilotati dall’interno, portando queste macchine enormi, la tecnologia e la scienza, ammantata però di uno sviluppo narrativo vicino a quello del romanzo d’avventura, ad essere uno degli elementi principali dell’immaginario fantascientifico comune dell’arcipelago. In Giappone, non dimentichiamolo, i «tokusatsu» (telefilm a sfondo fantascientifico con effetti speciali) conoscevano un grande successo tra il pubblico giovanile già dalla metà degli anni sessanta. Nel 1966 era cominciata la trasmissione della serie di Ultraman, un eroe che si trasforma in un guerriero colossale per proteggere la terra da mostri alieni e che ancora oggi è uno dei personaggi più popolari di tutta l’Asia, dal 1971 erano stati trasmessi i telefilm di Kamen raider basati sull’opera omonima del già citato Ishinomori Shôtarô in cui il protagonista mutato in un cyborg si batte contro organizzazioni criminali e nel 1975 aveva visto la luce il sottogenere del «sûpâ sentai» (lett. «super squadre combattenti») – gli «americani» Power Rangers noti anche in Italia sono basati proprio su questo genere – con il telefilm Himitsu sentai Gorenjâ (Squadra segreta Goranger).
Se la fantascienza letteraria in Italia viene ufficialmente introdotta abbastanza tardi, solamente nel 1952 tramite la collana della Mondadori Urania, in Giappone uno dei padri della fantascienza nipponica, Unno Jûza (1897-1949), già negli anni trenta si dedicava attivamente a questo filone. Negli anni settanta, poco prima dell’uscita di Star Wars, erano inoltre nel pieno della loro attività Hoshi Shin’ichi (1926-1997), Komatsu Sakyô e Tsutsui Yasutaka, scrittori di fantascienza ormai entrati a pieno diritto nel novero dei più importanti autori della letteratura contemporanea del paese.
È pertanto naturale che il robot R2-D2 trovi nell’arcipelago l’ambiente ideale dove essere apprezzato da un pubblico ormai particolarmente ricettivo a film e telefilm di SF.
Il medesimo discorso fatto per R2-D2 vale per Chewbacca. La tradizione orientale ha almeno due esseri dalle fattezze scimmiesche che ricoprono un ruolo importante in quanto compagni-servitori-protettori dell’eroe principale. Si tratta dell’indiano Hanuman del grande poema epico indiano Ramayana (IV-III secolo a.C.) che aiuta il signore Rama a liberare sua moglie Sita e dello scimmiotto di pietra Sun Wukong (conosciuto in Giappone con il nome di Son Gokû) del romanzo Xi You Ji (Viaggio in Occidente; in giapponese chiamato Saiyûki), uno dei classici della letteratura cinese scritto da Wu Cheng’en (1504?-1582?) molto noto e amato anche nel Sol Levante, il quale deve proteggere il monaco buddhista Sanzang (in giapponese Sanzô) nella sua ricerca delle sacre scritture. Alcuni ritengono che Sun Wukong potrebbe essere un’elaborazione della più antica figura di Hanuman.
Esiste un legame tra le coppie Rama-Hanuman, Sanzang-Sun Wukong e Han Solo-Chewbacca? L’accostamento potrebbe sembrare eccessivo, ma certo Han Solo dei personaggi di Star Wars è quello più legato all’archetipo classico dell’eroe che cambia da ribelle a difensore di un nuovo ordine, da impulsivo e spavaldo a uomo saggio, guidato in questo cambiamento anche da un Chewbacca il quale svolge un ruolo di coscienza critica nei confronti dell’amico.
In conclusione, il ciclo di Star Wars in Giappone è stato da subito molto apprezzato sia perché presentava, come abbiamo appena visto, elementi in qualche modo riconducibili alla tradizione e alla letteratura del paese – la ribellione contro l’Impero trova, ad esempio, eco in quella presente nell’altro grande classico cinese amatissimo pure nell’arcipelago nipponico, lo Shui Hu Zhuan (Storia in riva all’acqua; in giapponese chiamato Suikoden, in Italia è uscito con il titolo I briganti per l’Einaudi. Il fumettista italiano Magnus, 1939-1996, ne ha pure tratto un’eccellente adattamento a sfondo fantascientifico a partire dal 1973) di Shi Naian (1296?-1372?), dove i centotto fuorilegge protagonisti si battono contro le angherie e la corruzione del governo della corte imperiale –, sia perché nella terra del Sol Levante in quel periodo si era in una vera e propria età dell’oro per la fantascienza letteraria, televisiva e cinematografica.
Innegabile è l’impatto che Star Wars ha avuto sulle contemporanee e successive produzioni giapponesi, ma è da notare come già originariamente Lucas e il suo staff si siano a loro volta ispirati non poco all’Oriente. Ciò risulta ancor più evidente se andiamo ad analizzare le pellicole della saga di Star Wars successive all’episodio IV e i vari prodotti multimediali ad esse collegate. Le connessioni, esplicite o nascoste che siano, con la cultura indiana, cinese e giapponese si sono man mano rafforzate – viene qui subito in mente il trucco del viso e l’abbigliamento della regina Padmé Amidala e gli oscuri Sith di Star Wars-episodio I – in un continuo gioco di rimandi e di influenze reciproche.
Certo anche in Giappone e in Cina ci sono state, e ci sono pure oggi, forti polemiche tra letterati e studiosi del genere fantastico riguardo al dubbio se Star Wars sia una space opera di fantascienza o, piuttosto, un racconto di avventura semplicemente mascherato da SF, tuttavia queste discussioni interessano poco al grande pubblico che continua a essere affascinato dalla fiaba creata da George Lucas.
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Immagini: Chewbacca, Hanuman e Sun Wukong
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